COVID19: Il Coronavirus e l’equazione cinica vista attraverso gli occhi di un naturopata

Ai tempi del Coronavirus ed in uno scenario apocalittico dove gli ospedali saranno saturi di malati in terapia intensiva, bisognerà decidere chi salvare e chi lasciare che muoia. Un’equazione potrà aiutare in questa scelta.

Si chiama EQUAZIONE CINICA ed è tutta opera di un mero calcolo freddo e razionale. Merita così il suo vero appellativo di “cinica” perché è relativa ad un calcolo impudente, sfacciato, il cui unico interesse è per sé stesso e del suo cieco processo decisionale. La potremmo chiamare anche “razionale” o “logica” ma offenderei la logica razionale includendo in questa branca filosofica una equazione che lasci fuori ogni sentimento, ogni umanità e ogni conquista spirituale storica. Ma, forse, dopotutto, ogni equazione è pressoché cinica in qualche sua misura. Questa, in verità, lo è particolarmente perché verrà usata in tempi di “guerra” contro il nemico invisibile del virus più famoso che sta facendo storia ai tempi del primo quarto del ventunesimo secolo: il neocoronavirus, nome in codice Covid19.
Ci stiamo apprestando, almeno in Italia, ad avere un picco nelle statistiche che ogni giorno ci propongono i media. Ogni giorno “gli esperti” ci dicono che il picco sarà atteso dopo una settimana. Passata la settimana, il picco sembra essere prorogato alla successiva. Insomma, è facile immaginare che la capacità logistica degli ospedali italiani, dopo centinaia di tagli alla Sanità Pubblica in questi anni di europeismo austero, è assai limitata rispetto alla velocità con cui il virus sembri infettare e complicare la normale fisiologia di molti cittadini di ogni regione italiana. Stesso fenomeno pare stia avvenendo anche nel resto del mondo e in alcuni paesi peggio che in altri. Pensiamo alla Sanità indiana o a quella africana… che possibilità hanno i medici di far fronte ad una pandemia così massiva con alcuni ospedali da campo frettolosamente montati in qualche regione dell’Africa?
Se tutto va bene il picco è oggi, e da domani tutto inizia a scendere. Ma se così non fosse? Dobbiamo sperare nel meglio ma essere sicuramente preparati al peggio. Quindi ci si troverà dinanzi ad uno scenario apocalittico dove tutti gli ospedali saranno saturi di ammalati in sale intensive, le navi ospedale ed i sanatori da campo non avranno più ventilatori artificiali o non si troveranno attrezzature di ricambio o peggio non ci saranno medici, infermieri e paramedici capaci di coprire i turni massacranti di questa emergenza planetaria. Si arriverà ad un certo punto, della curva statistica, dove ci saranno più malati gravi che capacità logistica di ospitarli. La speranza è sempre quella di un vaccino, semmai esista la remota possibilità che questo virus possa dare una immunità capace di progettare un vaccino efficace. Anche se fosse possibile bisognerà attendere circa un anno o forse più per una sua validazione clinica. Si spera, allora, in una cura sintomatologica delle gravi complicanze da Civid19, ma pare che ogni farmaco miracoloso sia solo una chimera o si perda dietro mille rivoli burocratici ministeriali. Si giungerà inevitabilmente, quindi, ad uno scenario in cui i medici dovranno decidere chi dimettere da una sala intensiva e chi, invece, ospitare di urgenza. Insomma, si dovrà decidere chi far morire e chi tentare di curare.
Come decidere tutto ciò? Sicuramente ci sarà un modello decisionale, che deve essere poi approvato e validato, timbrato e firmato da una commissione tecnico-scientifica, ma forse per una burocrazia lenta è troppo tardi in questa direzione, sarà meglio iniziare a disegnare questo modello decisionale già da ora e farsi trovare pronti se dovesse accadere l’inevitabile. Una soluzione, semmai soluzione possa mai essere, potrebbe essere quella di una equazione o meglio di un algoritmo decisionale. Per cui, ammettendo un semplice ragionamento, così per “gioco” e volessi iniziare a progettare tale equazione, inizierei con possibili casi o scenari probabili. Ammettiamo che vi sono nonno e nipote infetti ed entrambi con sintomi, e di dover scegliere tra un giovane senza patologie e un anziano con patologie. Sappiamo che il decorso di questa malattia virale è più crudele nei confronti di un anziano e le sue probabilità di sopravvivenza saranno minime, mentre per il giovane saranno alte. Sappiamo anche che se il giovane viene lasciato a sé stesso ha una buona probabilità di sopravvivenza mentre l’anziano una buona probabilità di decesso. Quindi qualcuno potrebbe concludere che è più logico curare l’anziano riservando a lui la sala intensiva e lasciare il giovane a casa perché ha un’aspettativa di risoluzione sicuramente maggiore del “nonno”. In realtà non c’entra nulla la logica ma solo la statistica, cinica ma elegante nella sua semplicità. Ipotesi 1: scelgo di curare il nonno in sala intensiva ospedalizzandolo (ultima sala disponibile) e di lasciare a casa il nipote con la speranza che possa superare le crisi respiratorie contando sulla sua giovane età e sull’andamento dello storico delle statistiche. Ipotesi 2: scelgo di curare in sala intensiva il nipote e lasciare a casa il nonno, con la precisa ed alta sicurezza che l’anziana persona muoia ma che il giovane sicuramente sarà guarito. In verità è più logica questa seconda ipotesi. Contando sul fatto che il giovane quasi sicuramente in ospedale ce la farà con una probabilità di circa il 90% mentre a casa avrebbe avuto circa il 50% di probabilità di sopravvivere. L’anziano con comorbilità pregresse avrebbe avuto in ospedale circa il 50% di sopravvivere mentre a casa il 90 % di morire. Con il rischio di poter perdere entrambi, nonno e nipote, nell’ipotesi 1 quella di curare il nonno in ospedale e puntare sulla capacità reattiva del giovane lasciato a casa, preferisco l’ipotesi 2 che di sicuro mi garantisce un successo di guarigione di gran lunga maggiore per il nipote ospedalizzato, sacrificando il nonno a casa. Inoltre, e questa logica è ancora più cinica di tutte le ipotesi precedenti, in uno scenario post-bellico del genere, dove una nazione dovrà risollevarsi dopo che il fenomeno Covid sarà sconfitto, serve alla società un giovane con buone aspettative di lavoro, di guadagno e di capacità produttive, piuttosto che un anziano con patologie pregresse e con una pensione da pagare “a vuoto”. Lo so è cinismo tagliente, ma è anche una lucida riflessione sulla realtà dei fatti. Caso opposto ed estremo: è l’ipotesi in cui il medico si troverà a dover scegliere tra due fratelli gemelli, due giovani di uguale età. In tal caso si dovrà applicare, dietro un’attenta anamnesi medico e psicologica, chi dovrà essere ospedalizzato e chi invece dovrà tentare di sopravvivere standosene a casa con le proprie risorse di fortuna. In questo caso si dovrà tenere conto di un indice di fragilità – indice F – di ciascun ragazzo. Indice che tiene conto delle patologie attuali, di quelle genetiche potenziali, in tal caso si provvederà ad un semplice test del DNA su alcune mutazioni specifiche cardiovascolari, diabetiche, tumorali, ecc., una anamnesi familiare (essendo casi gemellari saranno uguali, ma ho voluto differenziare le due ipotesi estreme, quelle di due gemelli giovani e quelli di un giovane ed un anziano), si terranno poi conto nel computo dell’indice di fragilità dei profitti scolastici, lavorativi e di successo. Ma anche sul versante psicologico la sua capacità di relazioni sociali, la sua fragilità emotiva o la sua resistenza e resilienza, così come la sua tendenza all’aggressività o la tendenziosità al crimine, quindi si valuterà certamente il casellario giudiziario. Insomma, premieremo difatti una persona intellettualmente ricca, creativa, intelligente, intraprendente e capace piuttosto che una pigra, svogliata, con idee di assistenzialismo e una tendenza al crimine. Se avessimo la capacità di certificare questi aspetti li misureremmo tutti per il calcolo di un indice di fragilità, e sono sicuro che in situazioni di emergenza “bellica” ci saranno esperti che si proclameranno capaci di misurare certe tendenze personali. Ebbene questo indice F sarà inversamente proporzionale all’età, ma pare aiuti molto anche il sesso, da statistiche alla mano, a determinare il valore di punteggio che determinerà il numero di ingresso di un giovane in un reparto. La mia preoccupazione è che in certi Paesi a questa equazione si aggiungeranno altri parametri di tipo “razziale” che ne determineranno lo score finale. Ad esempio, in alcune regioni mediorientali nessuno vieterebbe loro di inserire tra i parametri di fragilità, come moltiplicatore inverso, una tendenza religiosa. Per cui se sei di una certa casta religiosa o appartenente ad una certa fede, non potrai raggiungere quasi mai lo score adatto per entrare in clinica. In altri Paesi russi e filorussi verrà addirittura moltiplicato un fattore squalificante se il soggetto è omosessuale, in quanto non garantirà la crescita sociale con una sua prole futura, ma in questo caso anche in Europa si tenderà a valutare l’indice F in negativo lì dove ci trovassimo nel caso di un giovane con azospermia o sterilità cronica. In altri Paesi ancora il calcolo sarebbe molto più semplice se si dovesse appartenere ad una certa razza o etnia “non desiderata” dalla politica nazionale. Insomma, in caso di emergenza “bellica” come questa pandemia estesa a livello globale, sarà molto facile camuffare l’odio razziale e l’intolleranza etnico-religioso-culturale dietro una semplice “equazione cinica”, pretendendo che la scienza abbia determinato quale razza viva quale sia destinata alla morte.
Per quanto possa essere cinica, fredda e cruda questa certa equazione o modello decisionale che prenda in considerazione chi deve vivere e chi deve morire, ci saranno sempre Paesi, politiche o religioni che siano, che tenderanno di strumentalizzare il modello cinico delle decisioni razionali a proprio vantaggio. Quando, e se dovessimo, superare questo limite allora il Covid avrà veramente reso il mondo il posto peggiore per tutti, perché quello sarà il giorno buio dove una nuova dittatura inizierà a far capolino nuovamente nella storia globale. Preferisco quindi affidarmi al caso e permettere al destino di giocare a dadi tra la vita e la morte di un giovane o di un vecchio, senza ricorrere mai ad una equazione cinica, perché alle sue estreme conseguenze questo modello decisionale forse ci donerà la vita ma ci toglierà qualcosa di ben più sacra e profonda: la Libertà.

Dr Luigi Di Vaia
Naturopata laureato a Bruxelles
Erborista e fitoterapista
Tecnico Laboratorio Officinale