Non è semplice definire il dolore, sebbene noi tutti, per personale esperienza, ne abbiamo più o meno fatta conoscenza.
Il termine dolore è di ampia accezione e di vasto significato nella lingua italiana, indicando genericamente una summa di situazioni e percezioni più o meno sgradevoli con possibilità tra esse di ampie differenziazioni. Si pensi alla diversità intercorrente fra dolore fisico, del corpo, e dolore psichico o morale, dello spirito; quest’ultimo sovente più insopportabile del primo.
Pur rappresentando un fenomeno universale e, come tale oggetto di diuturni studi e ricerche, il dolore ancor oggi presenta lacune di conoscenza, ad iniziare da una soddisfacente definizione.
Una bella spiegazione è indubbiamente quella del De Sanctis: ”Il dolore è la percezione di uno stimolo sfavorevole o nocivo che provoca disordine grave nella sensibilità e scatenamento nei riflessi di difesa, i quali si amplificano al di là di ogni linea o campo d’azione. Ogni dolore fisico è uno stato di coscienza, una sovrapposizione psichica ai riflessi protettivi subcoscienti”.
Anche se datata (1930) quella formulata da Lugaro risulta, a mio avviso, la più completa: ”Il dolore in senso stretto è dato da stimoli che offendono e minacciano l’integrità dei tessuti e, per quanto a certi dolori si possa assegnare una utile funzione di difesa, assai spesso il dolore è una reazione eccessiva e dannosa, provocata da stimoli distruttivi ai quali l’organismo non sa opporre riparo”.
Da questo concetto si estraggono due fondamentali precisazioni:
● il dolore, come fisiologico processo d’allarme finalizzato alla difesa dell’organismo;
● il dolore patologico o per alterazione o per difetto di interpretazione da parte degli organi a far ciò, responsabile della sola sofferenza cui non sono collegati processi finalistici di avvertimento e difesa.
È intuitivo considerare che, spesso, ad una prima fase finalistica di avvertimento, ne subentri una successiva di inutile sofferenza che aggiunge patologia alla patologia, sviluppandosi con una distruttiva quanto viziosa spirale di progressiva amplificazione e coinvolgimento di funzioni.
La IASP (International Association for The Study of Pain – Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termine di danno.
Nel 2018 la IASP, alla classica definizione ormai universalmente riconosciuta e accettata, ha aggiunto sei note integrative e dall’etimologia della parola dolore, utile, utili per un migliore inquadramento:
●Il dolore è sempre un’esperienza personale influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali.
●Il dolore e la nocicezione sono fenomeni diversi: il dolore non può essere dedotto solo dall’attività neuro-sensoriale.
● Le persone apprendono il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita.
● Il racconto di un’esperienza come dolorosa dovrebbe essere rispettato.
● Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattivo, può avere effetti negativi sulla funzionalità e il benessere sociale e psicologico.
● La descrizione verbale è solo uno dei numerosi modi per esprimere il dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale provi dolore.
Queste chiose aggiuntive sottolineano l’interconnessione biologica, psicologica, sociale dell’esperienza dolore.
Rimarcano anche come il dolore possa avere effetti negativi sulla funzionalità e sul benessere sociale e psicologico. Con questa nuova definizione si riesce a considerare il dolore nella sua multi dimensionalità e bio-psico-socialità, permettendoci di inquadrarlo e quindi di curarlo o sopprimerlo in modo più efficace.
Nel dolore c’è sempre una certa componente psichica più o meno importante, a seconda del grado di impressionabilità dell’individuo e della sua capacità di resistenza al dolore.
La fiducia che il medico riuscirà, col suo atteggiamento calmo e sicuro, a conquistarsi nell’animo del sofferente, le parole ispirate a serenità e conforto che egli pronuncerà, l’eventuale allontanamento dalla camera dei parenti piangenti o troppo sconvolti sono fattori che rinfrancano il morale del malato, e quindi annullano o scemano la componente psichica presente nel dolore che egli sta soffrendo. Nel caso di persone intelligenti e provviste di acuto spirito critico, che amano conoscere la causa di una loro sofferenza acuta (ad es. di una violenta colica addominale) per rendersi personalmente conto se è in giuoco o meno la vita, la cosa più saggia che il medico possa fare è quella di dimostrar nel modo più chiaro e persuasivo come le evenienze peggiori temute non abbiano alcuna ragione di esistere; calmate così le apprensioni del paziente, si vedrà questo già sopportare molto meglio il suo dolore: come negli altri campi della terapia, anche in quello della lotta contro il dolore la fiducia che il malato ripone nel medico è un fattore importante di successo.
Fin dalla sua apparizione sulla terra l’uomo, il dolore è stato oggetto di paura, di superstizione, di curiosità, di interesse, di studio.
Nel Ragazzo morso dal ramarro il geniale Caravaggio ferma la violenta reazione, fisica e psicologica al dolore improvviso.
Nel suo poema biblico il Paradiso perduto, Milton rappresenta il dolore in modo altamente drammatico: sono i demoni che, scacciati, hanno trovato rifugio nel corpo dell’uomo per continuare la loro lotta contro Dio.
René Descartes, detto Cartesio, nel suo De Homine (storicamente il primo trattato di fisiologia delle sensazioni), esprime con concetti e formula delle ipotesi che, tradotte in espressioni scientifiche attuali, ci accorgiamo non essere poi così lontane dalle odierne nostre conoscenze. E molte delle ipotesi formulate allora sono incredibilmente simili alle nostre attuali incertezze.
La prima descrizione scientifica delle vie anatomiche della sensibilità e del dolore si deve ad un anatomista spagnolo, Ràmon y Cajal (1852-1934) che, applicando il metodo di colorazione delle fibre e delle cellule nervose ideato dall’italiano Camillo Golgi, dimostrò le vie che percorre l’impulso nervoso, dalla sua origine più periferica fino al cervello.
Entrambi, Bartolomeo Camillo Emilio Golgi e Santiago Ramòn y Cajal, furono insigniti del Nobel per la medicina nel 1906.
Dr Teodosio De Bonis