IL FICO INDIGESTO E LE MOTIVAZIONI DELLO SCRIVERE

 

(Risposta a Michela)

 

Ognuno vede le cose attraverso la sua lente personale

 

Non posso mica costringerti ad apprezzare il mio stile e il contenuto di quanto scrivo.

Ti ringrazio comunque di continuare a leggermi, anche se vedo che lo fai con qualche evidente disagio e perplessità, o forse persino con qualche pizzico di stizza frenato da un certo velo di diplomazia.

Una cosa è però certa, ed è che stai travisando molto le mie argomentazioni, non le interpreti, o almeno non dimostri di interpretarle in senso oggettivo e corretto, ma piuttosto attraverso un modo di vedere e una lente prevalentemente soggettiva e personale.

Non siamo evidentemente sulla stessa lunghezza d’onda.

Si può e si deve essere in disaccordo sui dettagli, guai se così non fosse.

Ma occorre anche fare uno sforzo di comprensione e di accettazione di quanto di buono o di vero c’è nei messaggi che ci vengono proposti, a meno che non li vogliamo respingere come incompatibili.

Il che è pure possibile, ma stronca e interrompe il dialogo.

Non siamo sui banchi di scuola ma, dal momento che i miei scritti hanno la precisa ambizione di voler insegnare qualcosa sul comportamento e sullo stile di vita, sull’etica e l’alimentazione, parlando in modo chiaro ed anche fuori dalle righe, se comprendi e apprezzi lo spirito le motivazioni da cui essi partono, ha senso che tu li legga, altrimenti è tempo sprecato per entrambi.

Tu dici che sono un po’ veritiero e un po’ esagerato. Spero che esagerato non significhi falso.

Sarebbe interessante sapere dove veritiero e dove esagerato, per poterti rispondere in modo specifico.

Se tu pensi ad esempio che io esageri sull’animalismo, rifletti un attimo sulle guerra in corso tra America e Corea per imporre quella nave al mese (50 navi anno) carica di 60 mila salme grondanti 5 milioni di sangue (3 milioni di creature bovine di 3 anni di vita grondanti  250 milioni di litri di sangue all’anno).

Le cifre parlano chiaro.

Va pure un giorno a farti una esperienza diretta in un macello, e ti renderai conto della cattiveria estrema, della sofferenza estrema, della atrocità indescrivibile che esiste in una operazione del genere. Pensa poi alla ripetizione di tale crimine non per 10 o 100 o 1000, ma per 3 milioni di volte, e ti rendi conto di cosa significano quei dati.

Riguardanti tra l’altro il singolo contenzioso degli Usa con la Corea del Sud.

Se tu mi dicessi che esagero nel senso che dico troppo poco, ti potrei anche dare ragione.

 

 

 

Il tuo bisogno di scrivere cela grande rabbia, amarezza, solitudine e altro

 

Cominciamo da quel  e altro, che non so cosa sia, ma che ha un sapore misterioso o di una cosa che non si può dire.

Non vorrai mica  classificarmi tra le persone socialmente pericolose o bisognose di cure?

Speriamo di no.

E allora diciamo che è un termine infelice che ti è scappato dalla penna.

Il mio bisogno di scrivere nasce dal fatto che ho la fortuna, nel mio piccolo, di avere una gamma variegata e interessante di lettori qualificati in diverse parti del mondo.

In qualità di membro direttivo della AVA di Roma (Associazione Vegetariana Animalista), diversi miei  articoli viaggiano su Internet. E dunque esiste una spinta precisa a fare questo appassionante e creativo lavoro.

Avendo poi scritto in Italiano e Inglese due testi di base che sono  Il Ferro, l’Enzima e l’Anima, e  I Papiri di Hygea, che sono in via di traduzione in lingua Cinese, i miei presenti scritti rappresentano una propaggine logica e naturale del lavoro precedente.

Quindi non parlerei di uno scrivere dettato da qualche patologia interna o da qualche sconvolgimento psicofisico interiore.

Niente sfogo terapeutico ma qualcosa di agevole e di pianificato.

Non disgiunto dal a pretesa di svolgere una funzione educativa e sociale.

Senza volere attribuirmi comode patenti artistiche, chiunque esprime liberamente se stesso in determinati modi è classificabile come artista, buono o pessimo che sia.

E, più uno è sensibile e attento a quanto succede, e più riesce con la sua opera, il suo lavoro, la sua stessa vita esterna, a manifestare quello che sa e quanto ha dentro di sé.

Ma quando tu dici che il mio bisogno di scrivere cela grande rabbia, amarezza e solitudine, pretendi di ergerti a giudicatrice psicanalitica di me stesso.

Potrei anche stare al gioco, ma dimostri di aver capito poco del mio messaggio, e di non aver capito proprio nulla di me stesso.

Esiste una specie di barriera psicologica e culturale, se vuoi una qualche incomunicabilità tra di noi.

Hai ragione quando dici che dovremmo incontrarci e parlarne a voce. Forse ci capiremmo di più.

 

La cosa più importante è conoscere se stessi, amare se stessi, e saper stare soli con se stessi

 

Parli di grande rabbia.

Sì, ma rabbia in senso positivo ed equilibrato. Chiamiamola reattività.

Il termine rabbia sa di cagnesco e di ruvido.

Non mi pare di corrispondere in alcun modo a tale descrizione.

Parli di amarezza.

Certo che le autentiche porcherie (non esagero), le brutture, le violenze, le scemenze che abbondano intorno a noi, non mi addolciscono al punto di trastullarmi nell’oblio e nell’indifferenza.

Fermo restando che mi ritengo persona costruttiva, positiva e ottimista.

Cerco in continuazione la dolcezza nel buon sapore naturale di un frutto, nello sguardo delle persone che incontro, nel cercare di dare il buon esempio.

Siccome non ho venti anni, mi pare che la storia della mia vita stia a testimonianza concreta di quanto affermo.

Lo stesso mio scrivere va visto come manifestazione evidente di tali caratteristiche.

 

 

Parli di solitudine.

Può anche essere vero.

Tutti alla fin fine siamo soli di fronte al mondo e di fronte al giudizio.

Non a quello universale e definitivo del dio spaventoso e tiranno in cui non credo, ma al giudizio che conta davvero.

Al giudizio quotidiano da parte di noi stessi, quando alla fine della giornata ci interroghiamo e ci chiediamo se siamo stati persone a modo o se siamo stati dei vigliacchi contro qualcosa o qualcuno.

Al giudizio del prossimo che ci attornia e ci valuta.

Al giudizio del rappresentante divino di quei poveri animali senza voce e senza difesa che abbiamo accoltellato alla schiena ad ogni nostra eventuale sosta in macelleria, ad ogni piatto insanguinato su cui ci siamo intrattenuti.

Tutti siamo irrimediabilmente soli e nudi di fronte a questi inflessibili tribunali.

Non solo il povero bovino che viene tradito dall’infido essere umano, trascinato rovinosamente verso il posto di esecuzione, senza una ragione che non sia quella vigliacca della sopraffazione, senza una carezza, senza un avvocato difensore, senza un amico, senza un conforto.

Tutti possiamo sentirci soli anche stando in mezzo alla folla, o all’interno di un gruppo sociale e persino di una famiglia.

La cosa più importante è saper stare soli con se stessi innanzitutto.

Se riusciamo a raggiungere questo traguardo, non siamo più soli.

Avere un buon rapporto con noi stessi, amare noi stessi, capire noi stessi, essere amici di noi stessi, è la condizione indispensabile per potersi sentire a proprio agio pure con gli altri e con la società esterna in generale, per amare e capire gli altri, per estendere la nostra comprensione alla natura e ai nostri fratelli animali, poco importa se hanno due o quattro zampe.

 

I rapporti di coppia tra le mura domestiche non sono sempre precari

 

Per la tesina  Il dramma del fico, ti confesso di aver ricevuto molti complimenti da più parti.

Va dunque benissimo ricevere anche le critiche. Fa parte del gioco.

Tu contesti vivacemente la mia impostazione sulla precarietà dei rapporti tra uomo e donna all’interno delle mura domestiche, e porti come esempio probante quello dei tuoi nonni che hanno felicemente raggiunto nozze d’argento e d’oro, stimandosi e frequentandosi fino all’ultimo istante.

Premetto che in tale tesina non ho inteso fare opera autobiografica familiare.

Il giorno in cui decidessi di analizzare a fondo la mia situazione privata, lo farei con chiarezza e con un titolo chiaro e inequivocabile, interpellando e coinvolgendo ogni membro del mio clan.

Non so se la mia personale famiglia sia su livelli migliori o peggiori della media, e non so nemmeno in quale misura essa si possa riconoscere nel quadro generale da me descritto.

Faccio però del mio meglio per mandare avanti la baracca, come si usa dire, e cerco di avere un rapporto il più possibile costruttivo e civile con moglie e figli.

Non so se sono un marito e un padre ideale o modello.

So che cerco di esserlo e so pure che ci sono ampi margini di miglioramento.

Sarebbe più giusto girare la domanda direttamente a chi mi sta vicino.

Ho voluto piuttosto estrarmi idealmente dalla mia posizione presente, e analizzare certe tendenze che si percepiscono e si avvertono nella società in cui viviamo.

 

Quanto ho scritto è uno spaccato realistico e a volte impietoso della situazione concreta, sotto un profilo se vuoi psicanalitico e psico-sociale, ed anche sotto una visuale tutto sommato scherzosa e canzonatoria, intesa in qualche modo a sdrammatizzare bonariamente la situazione, più che a infrangere e disintegrare l’istituto familiare.

Una visuale libera comunque dalle tante finzioni, ipocrisie, miti, idealizzazioni, che si adoperano normalmente per descrivere il quadro familiare tipo.

A volte qualche esagerazione e qualche coloritura in più ci possono pure stare.

Tant’è che mi sono divertito davvero a scrivere quella sezione specifica, e mi risulta di aver pure fatto divertire diversi lettori.

Parlare in senso elogiativo dei tuoi nonni, non è sbagliato, anche se quelli erano altri tempi.

Ma, lo ammetto, esistono anche oggi molte coppie che stanno bene assieme, e non hanno nessuna tensione e nessun problema.

Questo va benissimo.

Ben vengano e tanti complimenti. Ma non è purtroppo la regola.

Ti faccio presente che provengo da una famiglia in cui mio padre e mia madre si sono amati e rispettati fino all’ultimo istante, al punto da essere indicati come coppia modello.

Non sono pertanto condizionato da storie di drammi familiari.

Tutt’altro.

 

Tutti tifiamo per una società più equilibrata e serena, con più amore e meno tensioni

 

Nella vita c’è spazio per tutti i tipi di esperienze.

Vale la sessualità e vale pure la continenza e la purezza.

Tutti ci auguriamo e tifiamo perché prevalgano la serenità, l’amore, l’attrazione tra le persone, tra il maschio e la femmina, in famiglia e in società.

Non mi risulta di essermi sottratto a tale buon auspicio.

Se poi le cose non vanno esattamente in quel modo, ci saranno pure dei motivi.

Nella tua personale chiave di lettura, pare tu abbia colto solo e soprattutto i contorni dissacranti delle mie osservazioni, e non l’aspetto realistico, costruttivo e, se vuoi, disincantato delle stesse.

Nella mia visuale, toccare e raccontare i problemi in modo schietto, non significa crearli od aggravarli, ma al contrario deattivarli, esorcizzarli,  togliere loro ogni potenziale esplosivo e devastante.

Scherzare o ironizzare sulle proprie disgrazie sociali a volte può avere anche una funzione terapeutica.

Non parlarne mai e tenersi addosso le tensioni fino al punto di rottura, può provocare guasti molto più seri.

Saper ridere o sorridere di sé poi, è da sempre segno di apertura mentale, di equilibrio e di intelligenza.

Tutte doti che di sicuro non ti mancano, ma che, nelle contestazioni espressemi, hai tenuto un po’ in disparte.

 

 autore: Valdo Vaccaro
Direzione Tecnica AVA-Roma (Associazione Vegetariana Animalista)
Direzione Tecnica ABIN-Bergamo (Associazione Bergamasca Igiene Naturale)

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