La scienza non è democratica. Questa affermazione, risuona sempre più spesso nei dibattiti pubblici degli ultimi mesi, soprattutto quando si discute sui vaccini e sui comportamenti sociali di massa. Perché la scienza non dovrebbe essere democratica? La scienza è un confronto libero tra pari, revisione critica dei propri convincimenti, argomentazione razionale e non dogmatica, valore del dissenso, condivisione di un linguaggio comune, rifiuto di autorità assolute, etica della trasparenza, importanza della reputazione. La scienza ha bisogno di continua vigilanza, di un’educazione precoce e di una buona comunicazione per essere capita e condivisa. Non a caso, si trova in difficoltà dinnanzi alla prorompente invasività dei social divoratori di tempo in cui le discussioni trasudano di maleducazione civica, la costruzione argomentativa appare ormai come un lontano ricordo di lentezze paleolitiche, e di conseguenza le posizioni antiscientifiche trionfano statisticamente su razionalità e buon senso. Ora ci si accorge di quanto la rete sia diventata il ricettacolo delle peggiori propensioni umane alla violenza verbale ed alla menzogna, un gigantesco bar in cui sempre meno avventori capiscono la differenza tra una fonte autorevole ed un qualsiasi dispensatore di frottole. Bisognerà immaginare un’ecologia dell’era digitale.
I risultati scientifici non si decidono a maggioranza né con un referendum, bensì attraverso esperimenti ed indagini, controlli incrociati, revisioni tra pari, statistiche. Il consenso scientifico consolidato su un dato tema non può avere lo stesso peso dell’opinione di un singolo scienziato eterodosso o magari appartenente a un’altra disciplina. Lo stato dell’arte non può essere aggirato o negato: certo, può sempre essere criticato e sfidato, ma con nuovi dati e con l’onore della prova. La scienza in realtà è molto democratica, nelle regole che si è data per sottoporre a continuo vaglio critico i suoi risultati e per accumulare sempre nuove conoscenze. Come tali, dunque, non possono essere date in pasto all’opinionismo dal talk show né al sottobosco di mistificatori che proliferano sul web. Per un semplice motivo, che vale anche per i capipopolo incompetenti: libertà di espressione non significa libertà di mentire. La ricerca farmaceutica è attendibile? Le case ed aziende farmaceutiche hanno sempre favorito, in passato, con “attenzioni”, sia di piccoli regali sia con elargizioni finalizzate all’acquisto di strumentari tecnico-scientifici utili per svecchiare gli Istituti di ricerca universitari e le società di privati. Ma negli ultimi decenni le Industrie farmaceutiche hanno trovato molti modi per mettere ingenti somme di denaro nelle tasche di medici indipendenti che effettuano ricerche riguardanti, direttamente o indirettamente, farmaci in fase di produzione o commercio da parte di queste aziende.
Il problema non riguarda solo imprese o ricercatori, ma il sistema nel suo insieme: istituzioni finanziatrici, laboratori, riviste specialistiche, ordini professionali e via discorrendo. Nessuno offre un sistema di controllo in grado di evitare conflitti di interesse: Le organizzazioni, invece, sembrano scaricarsi tra loro le responsabilità, lasciando spazi nell’applicazione di regole in cui ricercatori ed aziende si destreggiano con facilità, per poi prendere decisioni coperte da segreto.“ Non c’è un solo settore della medicina o della ricerca accademica, né della formazione medica, in cui i rapporti con le aziende non siano un elemento assai diffuso”, afferma il sociologo Eric Camphell, professore di medicina alla Harvard Medical School. Questi rapporti non sempre sono negativi: dopo tutto, senza l’aiuto delle aziende i medici che fanno ricerca non sarebbero in grado di tradurre le proprie idee in nuovi farmaci. Del pari, sostiene Camphell, alcuni di questi rapporti coinvolgono gli scienziati nella vendita di prodotti farmaceutici, invece che nella produzione di nuova conoscenza.
Il rapporto tra ricercatori e case farmaceutiche può avere, assumere, forme diverse. Ci sono gli speaker bureau: un’azienda finanzia i viaggi di un ricercatore che tiene una conferenza, un corso e mostra diapositive preparati entrambi dall’azienda. Poi c’è il lavoro di ghostwriting: un produttore scrive la bozza di un articolo e paga uno scienziato per firmarlo e sottoporlo al giudizio di una rivista peerreview. Infine c’è l’attività di consulenza: un’azienda arruola un ricercatore per avere consigli. “ I ricercatori credono che queste aziendeli cerchino per la loro intelligenza, ma di fatto vengono dopo il marchio”, dice Marcia Angeli, già direttore del “ New England Journal of Medicine”. “Per ingaggiare un ricercatore senior illustre, il tipo di persona che parla ai convegni, scrive libri ed articoli specialistici, vale la pena spendere come per centomila venditori”.Le riviste peerreviewed sono piene di studi che dimostrano comeil denaro proveniente dall’industria farmaceutica stia indebolendo l’obiettività scientifica.Uno studio del 1998 pubblicato dal “New England Journal of Medicine” ha trovato una “forte correlazione” fra le conclusioni dei ricercatori sulla sicurezza dei bloccanti dei canali del calcio, una classe di farmaci usati per ridurre la pressione del sangue, ed il loro rapporto finanziario con le aziende che producono i farmaci. Non si tratta solo di un problema accademico. I farmaci sono approvati o respinti in base a ricerche apparentemente indipendenti. Quando un farmaco non funziona e viene ritirata dal mercato e rietichettata come non pericolosa c’è spesso un percorso di ricerche deviate e di compensi per gli scienziati. Per esempio diversi anni fa, quando i pazienti hanno cominciato a citare in giudizio Wyeth per un altro farmaco basato su estrogeni, Prempro ( che è stato correlato al rischio di tumore al seno, ictus ed altre malattie), gli accordi di Wyeth per l’attività di ghostwriting e firma di articoli previo pagamento sono diventati una parte centrale del caso.Secondo uno studiodel 2010 pubblicato sul “BritishMedical Journal”, l’87 per cento dei ricercatori che hanno dato “parere favorevole” al farmaco per il diabete Avandia, prodotto da Glaxo Smith Kline, sebbene ci fossero indicazioni sul fatto che potesse aumentare il rischio di infarto, avevano rapporti finanziari con produttore del farmaco.
E quando una commissione della Food and Drug Administration statunitense ha iniziato a valutare se ritirare o meno Avandia dal mercato a causa del collegamento con gli episodi di infarto è emerso anche che alcuni membri della commissione prendevano denaro dalle case farmaceutiche.Qual è la risposta della comunità scientifica al problema del conflitto di interesse? Trasparenza.
Riviste specialistiche, istituzioni che finanziano la ricerca ed organizzazioni professionali fanno pressioni sui ricercatori affinché dichiarino apertamente – ai soggetti delle loro ricerche, ai colleghi ed a chiunque altro sia coinvolto nelle loro attività – quando hanno rapporti che potrebbero compromettere la loro obiettività. In questo modo è la comunità scientifica a decidere se uno studio è etico e, una volta che l’esperimento è stato effettuato, fino a che punto fidarsi dei risultati.E’ un sistema basato sull’onore.
Vendere farmaci invece di scoprirli, è diventata l’ossessione dell’industria farmaceutica.
Ma come può accadere che entità private, di fatto si trasformino in strutture sovranazionali che possano condizionare le politiche socio-economiche di intere nazioni? Da dove ha inizio questo processo? E perché gli Stati si sono fatti, lentamente ma inesorabilmente, privare della loro autorità legislativa in tema della salute pubblica? Le ricerche e le indagini epidemiologiche sono realmente indipendenti? I pazienti sono coscienti dei rischi che corrono?
L’industria del farmaco, negli ultimi quarant’anni ha subito una grande trasformazione. Un tempo le case farmaceutiche di maggior successo erano quelle che vantavano i più brillanti scienziati impegnati nella ricerca medica, oggi i più potenti e ricchi produttori di medicinali sono quelli che possono contare sulle strategie di marketing più creative e spregiudicate.
Il rapporto tra ricercatori e case farmaceutiche può avere, assumere, forme diverse. Ci sono gli speaker bureau: un’azienda finanzia i viaggi di un ricercatore che tiene una conferenza, un corso e mostra diapositive preparati entrambi dall’azienda. Poi c’è il lavoro di ghostwriting: un produttore scrive la bozza di un articolo e paga uno scienziato per firmarlo e sottoporlo al giudizio di una rivista peerreview. Infine c’è l’attività di consulenza: un’azienda arruola un ricercatore per avere consigli. “ I ricercatori credono che queste aziende li cerchino per la loro intelligenza, ma di fatto vengono dopo il marchio”, dice Marcia Angeli, già direttore del “ New England Journal of Medicine”. “Per ingaggiare un ricercatore senior illustre, il tipo di persona che parla ai convegni, scrive libri ed articoli specialistici, vale la pena spendere come per centomila venditori”. Le riviste peerreviewed sono piene di studi che dimostrano come il denaro proveniente dall’industria farmaceutica stia indebolendo l’obiettività scientifica.
Uno studio del 1998 pubblicato dal “New England Journal of Medicine” ha trovato una “forte correlazione” fra le conclusioni dei ricercatori sulla sicurezza dei bloccanti dei canali del calcio, una classe di farmaci usati per ridurre la pressione del sangue, ed il loro rapporto finanziario con le aziende che producono i farmaci. Non si tratta solo di un problema accademico. I farmaci sono approvati o respinti in base a ricerche apparentemente indipendenti. Quando un farmaco non funziona e viene ritirata dal mercato e rietichettata come non pericolosa c’è spesso un percorso di ricerche deviate e di compensi per gli scienziati. Per esempio diversi anni fa, quando i pazienti hanno cominciato a citare in giudizio Wyeth per un altro farmaco basato su estrogeni, Prempro ( che è stato correlato al rischio di tumore al seno, ictus ed altre malattie), gli accordi di Wyeth per l’attività di ghostwriting e firma di articoli previo pagamento sono diventati una parte centrale del caso. Secondo uno studio del 2010 pubblicato sul “BritishMedical Journal”, l’87 per cento dei ricercatori che hanno dato “parere favorevole” al farmaco per il diabete Avandia, prodotto da Glaxo Smith Kline, sebbene ci fossero indicazioni sul fatto che potesse aumentare il rischio di infarto, avevano rapporti finanziari con produttore del farmaco.
E quando una commissione della Food and Drug Administration statunitense ha iniziato a valutare se ritirare o meno Avandia dal mercato a causa del collegamento con gli episodi di infarto è emerso anche che alcuni membri della commissione prendevano denaro dalle case farmaceutiche.
Qual è la risposta della comunità scientifica al problema del conflitto di interesse? Trasparenza.
Riviste specialistiche, istituzioni che finanziano la ricerca ed organizzazioni professionali fanno pressioni sui ricercatori affinché dichiarino apertamente – ai soggetti delle loro ricerche, ai colleghi ed a chiunque altro sia coinvolto nelle loro attività – quando hanno rapporti che potrebbero compromettere la loro obiettività. In questo modo è la comunità scientifica a decidere se uno studio è etico e, una volta che l’esperimento è stato effettuato, fino a che punto fidarsi dei risultati. È un sistema basato sull’onore.
Le società farmaceutiche hanno trasformato gli Stati Uniti in un immenso palcoscenico ideale per vendere i loro prodotti.
La tragedia non è nei medicinali, ma nell’arte della persuasione e del potere senza precedenti che queste aziende attualmente detengono sulla pratica medica. Grazie all’ampia disponibilità di denaro contante, le case farmaceutiche hanno e sovvenzionano gruppi di pazienti, ospedali, università, scuole di medicina, associazioni mediche, agenzie governative e praticamente qualunque organizzazione desiderassero avere a fianco: Harvard, per fare un esempio, ha una sala conferenza intitolata a Pfizer in un edificio chiamato Mallinckrodt, un’altra azienda farmaceutica.
Ripercorriamo, sinotticamente, l’ascesa degli imperi farmaceutici. Per comprendere il presente occorre rivolgersi al passato: Historia magistra vitae.
Non sempre i venditori e gli addetti alla propaganda hanno governato le case farmaceutiche statunitensi.
Per decenni, in alcune di queste compagnie le posizioni strategiche erano state occupate da quegli stessi scienziati, medici o imprenditori che si erano votati alla scienza. E questi dirigenti si dicevano certi del fatto che, mettendo la scienza al servizio della medicina per salvare vite umane, i profitti sarebbero venuti di conseguenza. Non c’era bisogno di investire nella promozione.
Dott. Teodosio De Bonis
L’articolo è frutto delle opinioni dell’autore il dott. De Bonis.