LETTERA
Caro V, sto avendo un problema oculare chiamato miodesopsia da quando ho perso mio padre 6 mesi fa. Come superarlo? Marco
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RISPOSTA
MOSCHE VOLANTI O CORPI GALLEGGIANTI
Ciao Marco, il fastidioso disturbo visivo che lamenti è noto anche col nome di mosche volanti.
La parola, apparentemente scorbutica, deriva dai termini greci myodes (mosche) e òpsis (visione).
In realtà non si tratta solo di mosche, ma di vere e proprie ombre mobili, ovvero di oggetti in movimento dotati di diverse forme, tipo anelli, ragnatele, puntini, e altre combinazioni.
Il termine inglese “floaters” (corpi mobili galleggianti, fluttuanti) rende meglio ancora l’idea di cosa stiamo parlando. Per certi aspetti la miodesopsia può essere paragonata a un’altra forma patologica nota col nome di cataratta, che colpisce però il cristallino anziché l’umor vitreo.
IL CORPO VITREO CHE SI SFALDA E DIVENTA LIQUIDO
Il tutto avviene per il deterioramento del corpo vitreo, una sostanza gelatinosa che sta tra la retina e il cristallino. La degenerante evoluzione del corpo vitreo, sottoforma di parziale liquefazione, fa sì che esso subisca una dispersione delle fibre all’interno dell’occhio, dando luogo in modo intermittente, nei casi più critici, a scintille luminose. Tali scintille derivano da stimolazione meccanica della retina ogniqualvolta dell’umor vitreo si stia staccando.
INVECCHIAMENTO E RADICALI LIBERI
Le cause di questo fenomeno patologico possono essere determinate da normali processi di invecchiamento e di acidificazione del sistema, con accelerata formazione di radicali liberi, senza però escludere alcuni casi che hanno luogo in giovane età, scatenati dalla miopia che può deteriorare l’umor vitreo negli adolescenti, per l’anormale sviluppo del bulbo oculare (che nella miopia è allungato e non perfettamente sferico).
ALTRE CAUSE ANCORA
Altra causa può essere l’irritazione prolungata della retina per l’impiego di colliri a base di cortisone.
Altri motivi ancora i traumi emotivi di diversa natura, l’eccessiva disidratazione del corpo nei mesi estivi, l’abitudine al caffè e agli eccitanti, l’abitudine ai cibi dopanti, la prolungata esposizione agli schermi televisivi e al computer, ai traumi violenti (il fenomeno è diffuso tra pugili e tuffatori), indebolimento generale, le radiazioni solari nei momenti di massima luminosità (vedi raggi UVA e UBV).
LIQUEFAZIONE DELL’ACIDO IALURONICO
Tecnicamente parlando, la causa scatenante è il deterioramento delle molecole di acido ialuronico, sostanza che sostiene e mantiene coagulate le fibrille di collagene della parte gelatinosa del vitreo.
L’acido ialuronico è soggetto a una progressiva liquefazione che rinsecchisce le fibrille gelatinose e le fa diventare vere e proprie fibre.
REMISSIONE E AUTOGUARIGIONE NATURALE
A volte può succedere che, dopo un certo periodo (giorni, mesi, persino un anno) i corpi fluttuanti si sciolgano e rimangano depositati sul fondo oculare, con cessazione del problema e naturale autoguarigione.
Una specie di procedura tipo la cura della non cura, dove il paziente si limita a convivere con la sintomatologia.
Esistono in commercio le cure farmacologiche, colliri, integratori, pasticche e farmaci, oltre che soluzioni ancor più invasive tipo laser o vitrectomia.
NIENTE DI PIU’ DEVASTANTE CHE PERDERE UN GENITORE O UN FIGLIO
Nel caso in questione il problema è di tipo evidentemente traumatico.
La perdita di un genitore è quanto di più devastante può succedere.
Qualcosa che sconvolge e sballa il cuore e l’anima. Qualcosa che fa vacillare il nostro equilibrio fisico e mentale. Un abbattimento e un’angoscia che bruciano dentro per mesi e per anni, lasciando un indelebile segno di sorda e inesplicabile sofferenza.
LA FREGATURA DELLA CONCEZIONE MATERIALISTICA
Tutto questo avviene a maggior ragione quando manca in noi la giusta preparazione e la giusta filosofia ai fatti della vita. Quando si è legati alla vita stessa senza mai pensare seriamente che è, tutto sommato, una condizione temporanea e da prendersi alla leggera.
Tutto questo avviene quando si ha una concezione materialistica dell’esistenza per cui, finita l’avventura corporale tutto cessa, e non esistono altri mondi paralleli, altri contenitori ed altri percorsi per lo spirito di chi ci ha lasciati.
La famosa angoscia della morte totale e definitiva, quella che non lascia scampo e vie di fuga.
IL TRAMORTIMENTO PUO’ ESSERE MICIDIALE
Questo tipo di sberle esistenziali ha il potere di tramortire chiunque.
Il tempo non aiuta molto. A volte addirittura peggiora le cose, come una ferita che non si rimargina mai.
Occorre dunque riconquistare la conoscenza e il dominio di se stessi, il dominio dei sentimenti.
La gente è troppo legata a quello che è e a quello che ha.
Troppo impegnata a difendere il suo ego, la sua professione, il suo fisico, la sua reputazione, le sue abitudini, le sue credenze, la sua cultura, la sua religione, i suoi guru.
IL DRIBBLOMANE INNAMORATO DELLA PROPRIA PALLA
Hai presente il dribblomane nel gioco del calcio?
Quello che vede solo se stesso, il prato e la palla, scordandosi che ci sono i compagni, e persino che c’è la porta avversaria su cui la tua squadra deve puntare?
Usiamo dire in gergo che è innamorato della palla.
L’umanità è esattamente quello.
Una dribblomane innamorata patologicamente della propria vita. Incapace di staccarsene, di spersonalizzarsi, di armonizzarsi con la natura.
Siamo troppo prigionieri degli oggetti, delle persone, delle idee.
L’IMPORTANZA DI SVUOTARE IL CESTINO E DI RINNOVARCI
Occorre essere più semplici e più poveri, non solo rispetto alle cose del mondo, ma anche in fatto di conoscenze e credenze.
Un uomo pieno di sé, di beni materiali, di titoli accademici, di conoscenze, di esperienze e di fede religiosa, non conoscerà mai la felicità dell’essere semplice e genuino, dell’essere ricettivo e curioso. Porterà sempre angoscia e ombra in sé e fuori di sé.
Dobbiamo svuotarci e rinnovarci in continuazione e non costruire intorno a noi uno sclerotico e metallico regno personale con tanto di ponte levatoio.
STACCHIAMOCI UN PO’ DA NOI STESSI
Tutti affannati a far figli, a far soldi, a far cultura, a far carriera, a far cattedra, a far tesine, a fare cazzate. E niente tempo per sedersi sotto un albero o lungo un fiume, a guardare la natura scorrere, a svuotare il bicchiere pieno e colmo che teniamo nel cervello.
Qualcosa occorre fare certamente.
Non possiamo dimenticare tutto d’un un colpo nome, cognome, indirizzo, sesso e quant’altro.
Ci porterebbero in casa di cura e ci imbottirebbero sicuramente di psicofarmaci.
Ma stiamo attenti alla necessità di svuotare il nostro cestino, altrimenti il computer si blocca.
Stiamo attenti che esiste anche la costipazione culturale, e non solo quella chiamata stitichezza.
LA SCEMENZA UMANA DELLA FONTE
Tutti affannati a leggere gli ultimi libri su questo o su quello.
Tutti a chiedere referenze su quanto scrivi e quanto affermi.
Quasi che citare un testo precedente rappresenti una garanzia, e non la ripetizione meccanica di una precedente cazzata umana.
Dici che uno più uno fa due fa probabilmente due, e quello pretende la fonte.
Gli dai del deficiente (cosa che in genere non fai). E quello ti chiede la fonte!
Siamo proprio nel ridicolo.
Puoi girare la terra in lungo e in largo, ma alla fine dobbiamo sempre tornare a noi stessi.
Da questo non si scappa.
UN ATTACCAMENTO PATOLOGICO ALLA VITA TERRENA
Come sostenuto dai grandi filosofi indiani, e ci metto dentro in particolare Osho Rajnesh e
J. Krishnamurti, scomparsi entrambi da qualche anno, ma solo apparentemente, la ricerca della felicità, della logica, dell’assoluto non può che passare attraverso una radicale messa in discussione di tutte le credenze che abbiamo, di tutti i miti, le ideologie, i modelli culturali, e persino i modelli emotivi che coltiviamo e che la società ci trasmette e ci impone.
L’attaccamento alla vita fisica è uno di questi, ed è spesso spinto a livelli addirittura patologici, favorito com’è da false religioni che insegnano troppo a piangere chi muore, e a sputtanare il proprio dio, trasformandolo in un deficiente e cinico giudice universale che si diverte a collocare i buoni in un ebete paradiso eterno e i cattivi in un inferno surriscaldato dai portoni sprangati.
QUI SIAMO IN ZONA HAMER
Scusa Marco, se ho un po’ divagato, ma volevo davvero darti una mano nel mandare a quel paese, in senso concreto e non solo virtuale, le tue mosche volanti.
Stai pur sicuro che, non appena riuscirai a recuperare in qualche modo l’equilibrio psicofisico, l’armonia, l’accettazione serena e distaccata di quello che sei, la voglia di vivere nonostante tutto, la tua patologia cesserà di esistere.
Questo è un tipico caso in cui ha perfettamente ragione il dr Hamer, tanto per intenderci.
OGNI STRATAGEMMA E’ BUONO PER ATTENUARE LA SOFFERENZA
Ovviamente esistono scelte di vita in grado di attenuare la tua sofferenza fisica e mentale.
E’ consigliabile bere acqua leggera, o meglio ancora consumare frutta acquosa, agrumi, pesche saturnine baciate dal sole in ogni loro angolo e molecola.
Una dieta vegano-crudista è il non plus ultra per contrastare le ossidazioni interne e i radicali liberi.
Importante rilassarsi, respirare profondo, saper guardare in avanti più che indietro.
Non certo dimenticare, sarebbe impossibile e ingiusto. Avviare piuttosto un sereno dialogo con la persona scomparsa, trovare con lei una intima confidenza e complicità. Ospitarne lo spirito dentro di te. Mettendoci pure un pizzico di scherzosità e di buonumore.
Valdo Vaccaro (AVA-Roma e ABIN-Bergamo)